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Dez e David

Agripunk:una storia di resistenze

Aggiornamento: 6 ago 2021


a cura di Dez e David



Agripunk nasce sulle rovine di un allevamento, che lavorava per Amadori, di tacchine dette anche broiler, brevettate da Hybrid Turkeys/Purina con la tecnica dell'allevamento intensivo a terra, chiuse cioè in capannoni a ventilazione forzata, con luci al neon 24h e pavimenti in cemento. Queste tacchine erano allevate per la produzione a marchio "Tacchino 10+" di Amadori, prodotto noto per essere pubblicizzato come allevato nel rispetto del benessere animale, senza antibiotici e senza uso di mangimi OGM.


David, che insieme a me, Dez, lavora e vive ad Agripunk, conosceva il proprietario del posto che, su pressione della famiglia, affittava ad allevatori, gli unici possibili affittuari. Molte volte David aveva chiesto al proprietario di riconvertire l'allevamento in un’altra attività ma il vero problema era (ed è) il fatto che non esistono incentivi finanziari e contributi per la chiusura e la riconversione. Con la scusa di fare un improbabile orto nel terreno dell’allevamento, riuscimmo ad avere l’autorizzazione per entrare quasi liberamente e così iniziammo a fare video, foto e raccogliere prove e documenti nei momenti in cui l'allevatore non era presente. Questa persona non era felice del lavoro che faceva. Però faceva entrare i cacciatori per sparare ai cinghiali. Sosteneva inoltre che Amadori avesse un protocollo da rispettare su come allevare e fornisse direttamente i mangimi. Le perdite accettabili potevano essere di 1000 tacchine su 40mila, oltre scattava una penale sul prezzo.




Recuperammo anche il registro dall'ufficio dell'allevamento intensivo a L'Isola, Ambra, Arezzo (attuale dispensa semi e mele di Agripunk) nel 2014 quando si è occupato il luogo. Impressionante il numero scritto degli animali allevati nei 7 capannoni: una media di 30.000 con punte che toccano i 40.000. Il registro serviva a consentire la tracciabilitá delle sostanze e dei farmaci utilizzati. In caso di controllo ASL doveva essere esibito. Il registro fino a prima della nostra mobilitazione risulta firmato dai veterinari ASL mentre successivamente la firma risulta essere di un veterinario privato di Forlì, guarda caso territorio operativo storico di Amadori. Oltre ad esserci l'annotazione dei trattamenti antibiotici nel registro, ritrovammo anche taniche di antibiotici (prevalentemente amoxocillina) che venivano sversate direttamente e sistematicamente nelle cisterne d'acqua per abbeveraggio. Per quanto riguarda l'uso di mangimi OGM, trovammo molti cartellini con gli ingredienti dei mangimi: contenevano tutti soia e frumento OGM nonché farine animali. Inoltre alcuni contenevano anche coccidiostatico, un trattamento farmacologico contro dei parassiti intestinali. Tutto ciò che queste povere tacchine dovevano ingerire ovviamente finiva nelle feci e di conseguenza nel terreno e nelle acque di questo territorio prevalentemente agricolo


Un giorno si riuscì ad entrare nel capannone 7 e l’effetto fu allucinante. Sembrava di avere uno specchio davanti e uno dietro che riflettevano all'infinito le tacchine pallide, la luce costante, la privazione del sonno, le piume sporche e rotte, i becchi tagliati, le dita amputate per tagliare le unghie di cui sono dotate (i tacchini sono predatori di serpenti) ed evitare possibili ferire. Due tacchine furono portate via e nei giorni successivi si documentò come senza l'uso di quel mangime e in condizione di libertà possano rinascere: il piumaggio migliora, la muscolatura riprende tono. Giorgina e Lisetta furono le uniche a sopravvivere ad Amadori. Non fu possibile salvarne altre.

Da quel momento si pubblicarono video e immagini delle tacchine recluse nei capannoni e delle tacchine che si erano trasformate grazie alla libertà e alle cure.


La pubblicazione del video



e la campagna di pressione alle feste di paese determinarono forti preoccupazioni e la ASL revocò il codice stalla, intimando la chiusura immediata dell'allevamento. E' così che a fine maggio 2014 l'allevamento chiuse.


L'allevatore cambiò lavoro ed ebbe, col tempo, anche la consapevolezza del male che aveva fatto riuscendo così a recuperare anche il suo benessere personale. Quando l'allevatore andò via, occupammo l'ex allevamento per un anno. Nel 2015 fondammo l'associazione Agripunk Onlus e il proprietario del terreno accettò di darci in affitto l' ex-allevamento.


L'importanza di questo posto è proprio il fatto di poter essere una pratica vivente. Questo posto si racconta da solo semplicemente facendo una visita ai capannoni in cui sono state imprigionate milioni di tacchine. E questo è quello che Agripunk porta avanti, oltre al rifugio, cioè divulgare queste informazioni e questa storia.





La chiusura dell'allevamento e la campagna di pressione ebbero delle ripercussioni importanti sulla multinazionale Amadori. Nel 2016 Amadori cambiò il consiglio di amministrazione e la strategia di marketing. Dallo storico slogan "Parola di Francesco Amadori" furono costretti a passare ad una comunicazione più formale e green puntando sulle famiglie. La direzione del marketing di Amadori fu affidata ad una persona esperta che aveva già fatto campagne di successo per altre multinazionali come Coca Cola Italia.


Partendo dall'esperienza di Agripunk, portiamo delle riflessioni sulle corporation e l'agribusiness, greenwashing, ethic/socialwashing e veganwashing.


*Sul perché, ad esempio, non abbia senso prendersela o gridare assassini a chi lavora nei mattatoi. Non è una responsabilità individuale ma di sistema. Chi lavora in questi luoghi non ha più responsabilità di chi lavora in una centrale nucleare piuttosto che in una fabbrica siderurgica o di armamenti. Sono lavori invalidanti a tutti i livelli: fisico, morale e sociale. Questi sono lavori che nessuno vorrebbe ma che moltu sono costrettu ad accettare per sopravvivere.


*Sulla stretta relazione, come da documenti che abbiamo scaricato da internet, tra le multinazionali farmaceutiche e la chimica utilizzata nell'agrobusiness. Il linguaggio utilizzato nei documenti è ormai un classico del greenwashing internazionale, e si può dimostrare che la presentazione pubblica di queste aziende non corrisponde assolutamente alla realtà dei fatti. Sui loro siti mostrano un'immagine di sé molto green e rispettosa dei diritti ambientali e di chi ci lavora .

Un esempio è Mac Donald con la campagna "Mettiamoci la faccia" dove mostrano le eccellenti condizioni di lavoro dei prodotti commercializzati nei fast food, ovviamente esenti da uso di OGM e farmaci, secondo i protocolli. Nella foto che utilizzano l'allevatore ha il cappellino della KWS, una multinazionale olandese che solca il mercato con una la nuova tecnologia OGM che non è ancora classificabile come OGM. Controllano gran parte della zona di Campobasso, il granaio della pasta Made in italy.


*Sui veleni usati in agricoltura dove i nomi e le formule vengono continuamente cambiate in modo che non vengano riconosciuti come proibiti pur avendo esattamente gli stessi effetti e problematiche. I veleni, pur essendo estremamente tossici, come si può leggere dalle istruzioni, vengono usati per coltivare i mangimi e non viene conteggiato o preso in considerazione né quanto tempo restano nel corpo degli animali né in che modo passino nella terra, nell'acqua e nei prodotti coltivati.


IL CASO FIPRONIL


Questo è l'esempio lampante di come sistematicamente le istituzioni aiutino a camuffare enormi ed irreparabili disastri ambientali anche grazie all'uso ed abuso di enti ed istituti il cui lavoro dovrebbe essere di sorveglianza di settori specifici. Con una catena di decreti tra governo e ministeri, passando per EFSA (ente di sorveglianza alimentare europeo con sede a Parma) si riescono a far sparire dei risultati e dei tempi di scadenza che renderebbero il FIPRONIL inutilizzabile per qualsiasi uso in agricoltura. FIPRONIL è altamente tossico per ogni organismo vivente ma è attualmente utilizzato come insetticida di base prima di una nuova coltivazione. Recentemente è utilizzato come base per molti antiparassitari per animali domestici. I veterinari informati sconsigliano infatti l'uso di tali prodotti.


*ETHIC/SOCIALWASHING, i diritti conclamati ma mai rispettati.

Un esempio di ethic/socialwashing, questa volta dalla Novartis: l'annuncio per un posto di lavoro come gestore di uno stabulario di animali in corso di sperimentazione e poi destinati alla vivisezione. Viene presentato come un buon posto di lavoro, appagante e dove farsi tanti amici tra i colleghi.


*GREENWASHING e VEGANWASHING

Le campagne di comunicazione di tutte queste aziende sono molto incentrate sul greenwashing. L'uso del verde e del biologico per dare un'immagine di sé più sostenibile per finire addirittura al vegan washing e cioè il produrre "cibo per vegani" che pubblicizzano, anche tramite i vegani, come salutare, ecologico ed etico. Questo serve semplicemente a riconquistare una fetta di mercato perduta, non solo tra le persone vegan, ma anche tra quelle che non si fidano più dei prodotti "normali".

Ricercando nei siti di aziende, allevatori, associazioni di categoria, ministeri e Comunità Europea si possono trovare informazioni importanti relative alle specifiche normative e alle relative tattiche aziendali. Uno dei più prolifici al riguardo, è il sito di Ruminantia, rivista specifica per allevatori di "vacche da latte".

Ogni mese viene pubblicata una rivista e quotidianamente vengono pubblicati articoli ed approfondimenti on line relativi a produzione, benessere animale, risoluzione delle criticità fino ad arrivare ad una sottosezione del sito dedicato al progetto "stalla etica". In un articolo specifico si parla, ad esempio, delle criticità legate alla separazione vacca-vitello. Viene trattato non solo il problema etologico, psicologico e di salute relativo alla separazione madre-figlio, ma viene anche ammesso che bisogna porsi queste questioni e risolvere questa ed altre problematiche perché da un'indagine risulta che anche chi mangia carne, non vuole più carne che sia stata frutto di sofferenza. Lo stesso ragionamento viene usato per sviluppare le tecnologie di in-ovo-sexing ossia per carpire il sesso biologico del feto dentro l'uovo entro massimo 8 giorni dall'inizio della cova. Questo per poter individuare, tramite prelievo di materiale genetico o l'utilizzo di raggi gamma, il sesso biologico del pulcino. Viene usato per le uova dedicate alla riproduzione di galline ovaiole, ambito nel quale fin'ora è prassi lasciar schiudere tutte le uova ed eliminare i pulcini nati maschi appartenenti a "razze" considerate inutilizzabili per la produzione di carne. La tecnologia in-ovo-sexing eviterà questo processo e le uova con il feto maschio verranno trasformate direttamente in mangimi per altri animali prima della loro schiusa. Con questo sistema, molte persone che hanno remore a consumare uova per sensibilità nei confronti dei pulcini tritati vivi, ricominceranno a mangiarne con maggior leggerezza, con buona pace delle galline costrette a sfornare uova di continuo.

Ma anche qui arriva il "benessere animale".

Con la campagna "End the cage age" costituita da un insieme di associazioni animaliste e di categoria (di allevatori) esattamente come la campagna precedente sulle uova, si vuole portare la comunità europea all'eliminazione delle gabbie di contenimento per scrofe e galline ovaiole. Ovviamente sia le scrofe che le galline non verranno liberate dalle loro gabbie, semplicemente cambieranno stabulazione all'interno di una gabbia più grande che è il solito capannone per allevamento.


Oltre a queste ad altre strategie finalizzate al greenwashing (ad esempio, non utilizzo di antibiotici, cibo biologico, integratori naturali ecc) ci troviamo di fronte ad alcune strategie che definiremmo "ethicwashing" ossia strategie che individuano le criticità legate all'etica e alla compassione crescente nei confronti degli animali d'allevamento per studiare tecniche e prassi ritenute accettabili da coloro che considerano magari troppo estrema la scelta etica antispecista del non consumare alcun derivato degli animali in nessun campo. Contemporaneamente, si amplia la proposta da parte di aziende che lavorano nella produzione e trasformazione di prodotti animali, anche di prodotti a base vegetale. Sia mai che qualcunu non si convinca abbastanza con green ed ethicwashing, allora subentra il veganwashing. Per riuscire a mantenere come clientela anche coloro che decidono di togliere i prodotti animali dalla propria dieta. Ma ci rifutiamo di chiamare vegan questi prodotti, li chiamiamo a proposito "plant based" perchè un prodotto per essere davvero vegan deve essere prodotto, a nostro avviso, da aziende e produttori che rispettano non solo l'esistenza dell'animale, ma anche quella del pianeta tutto.




Camminando domandando:

Il termine "vegan" ha perso la sua accezione politica?

Dovremmo forse noi cambiare il linguaggio e smettere di usare la parola vegan?

E cos'è la sofferenza animale? Quando comincia? Dove finisce?

Come si può non vedere che la prima criticità in assoluto consiste nel considerare dellu individu come macchine, mezzi di produzione, materie prime?

Come si può non vedere nell'allevamento, nella reclusione, nella coercizione la primigenia sofferenza?

E come è possibile risolvere criticità relative alla sofferenza quando la condizione stessa vi è strettamente legata come accade durante le fasi di carico-trasporto-scarico o come accade all'interno del mattatoio?

Il sistema ci ingabbia e condiziona in qualsiasi modo, qualsiasi sia la scelta che compiamo. Se la sensibilità aumenta, il sistema risponderà proponendo cibo vegan o non vegan facendoci credere, con grandi operazioni di marketing, che non sia frutto di sfruttamento e sofferenza animale quando invece è prodotto comunque da multinazionali che basano il loro capitale sullo sfruttamento intrinseco di ogni specie animale, inclusa la nostra, e su quello di interi ecosistemi.


La nostra resistenza come deve essere sviluppata? Come possiamo agire per contrastare questo sistema oltre a smettere di finanziarlo?


Dez e David.

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