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Immagine del redattoreMari

Il pensiero transfemminista e ecologista devono essere antispecisti.


contributo di Ornella all'assemblea del 30 maggio 2020

Questo contributo attinge a un testo di alcune femministe antispeciste spagnole scritto in risposta alle allevatrici. Vuole aggiungere una riflessione, da un punto di vista transfemminista multispecie, per trovare delle possibili risposte ad una delle domande poste da questo laboratorio -Quali possano essere le pratiche di lotta possibili oltre il crinale tra teoria e prassi?- suggerendo nello specifico un'analisi sulla contrapposizione tra ambiente agricolo e urbano, un binarismo che si aggiunge agli altri dualismi esistenti in quella visione situata di mondo, antropocentrica, coloniale bianca e maschile, in cui ci troviamo..Una riflessione pertinente anche per l'attuale dibattito sulla crisi climatica e sull'agroecologia.

Il discorso antispecista viene configurato prevalentemente come proveniente (sempre e soltanto) dall’ambiente urbano, lo si inquadra sistematicamente cioè come un discorso alieno ed escludente della sfera agricola contadina e che impedirebbe quindi, secondo questa logica, di instaurare quel dialogo che invece sarebbe estremamente importante sviluppare, data la componente consustanziale del comparto agro-alimentare al sistema capitalista che mette ogni corpo a valore, braccianti inclusi.

La riflessione parte dalla constatazione che sia altamente problematico universalizzare l’esperienza di quello che è il mondo contadino e come questo rimanga definito ancora oggi da un'agricoltura insostenibile dal punto di vista ecologico e dallo sfruttamento di animali non umani. In particolare si rischia di ricadere, nel pericolo della storia unica, perpetuando l’idea universale della società agricola NECESSARIAMENTE VINCOLATA all'uso di pesticidi e di sostanze inquinanti ma soprattutto all’uso degli altri animali, invisibilizzando quei discorsi ecologisti antispecisti che nascono e si sviluppano anche nell’ambiente contadino, ma che vengono considerati marginali se non addirittura illegittimi.

Il confronto tra ambiente rurale e ambiente urbano è artificiale e pregiudica profondamente il discorso: l'utilizzo degli animali in particolare viene usato come arma per alimentare il binarismo, il discorso di noi contro voi, una strategia che è evidentemente semplicista e disonesta che serve per alimentare un discorso che ci divide, ci depista e serve esclusivamente al sistema oppressivo.




Quando si propone un femminismo antispecista, ci si rivolge a un ideale di lotta globale che cerchi di porre fine alla dominazione sulle donne e sul resto degl* oppress*, altri animali compresi.Gran parte dell’ecofemminismo ha capito questo: la necessità di abbracciare tutte le lotte di liberazione, di rifiutare tutti i tipi di dominazione e di tenere in considerazione ciascun individuo.In parole semplici se vogliamo porre fine alla violenza sistemica, non possiamo farne parte ma ragionare seriamente sul come si possa raggiungere la tanto desiderata società egualitaria se ne lasciamo fuori una parte.

Questo ci è stato insegnato negli anni ‘70 dalle femministe nere che hanno coniato il termine “intersezionalità” nel 1989 per spiegare che i modelli classici di oppressione basati su razza, origine, genere, orientamento sessuale, ecc., non agiscono indipendentemente l’uno dall’altro, ma sono interrelati e si sovrappongono. Un anno dopo, Carol J. Adams ha collegato direttamente il femminismo e lo specismo nel suo libro The Sexual Politics of Meat, mostrando l’intersezione tra lo sfruttamento delle donne e quello degli animali, la connessione tra i valori patriarcali e il consumo della carne di altri animali.

Ne deriva un ragionamento semplice: Se le oppressioni sono interconnesse, le lotte contro queste oppressioni dovrebbero, idealmente, esserlo altrettantoA supporto della riflessioni iniziali è anche necessario smantellare la differenza tra allevamento intensivo ed estensivo. L’allevamento, sia nella sua forma intensiva che estensiva, presuppone il dominio degli animali e il controllo dell'ecosistema per il beneficio esclusivo dell’essere umano. Sia gli agricoltori intensivi che quelli estensivi ci vendono la stessa immagine: idilliache praterie in cui pascolano animalifelici. Tuttavia, in misura maggiore o minore, ciò non corrisponde alla realtà. Consideriamo l’esempio delle mucche sfruttate per il latte della loro prole: le immagini di mastiti, le mammelle pesanti e dolorose, la continua separazione dalla propria prole, è qualcosa che è presente sia negli allevamenti industriali che negli allevamenti estensivi. Il “buon formaggio biologico e artigianale” non sarebbe prodotto altrimenti. L’allevamento ESTENSIVO è anche dannoso per gli animali selvatici, perché necessita di vaste aree di terra per le mandrie a scapito degli altri animali. Questo è il motivo per cui ci sono spesso alleanze tra allevamenti estensivi e la caccia. È anche utile ricordare che l’allevamento è una delle cause per le quali stiamo provocando uno sterminio di massa di specie selvatiche, privandole di spazio e di risorse. Rispetto alla devastazione ambientale e agli incendi sempre più frequenti, bisognerebbe anche sapere che una foresta in stato avanzato di crescita accumula più umidità e quindi beneficia del fatto che, in caso di incendi, questi siano meno violenti. Inoltre, alcune specie vegetali sono particolarmente attrezzate per difendersi dal fuoco. Da qui l’importanza di favorire lo sviluppo di foreste diversificate anziché monocolture di alberi e foraggio, foreste dove ci siano specie con una maggiore capacità ignifuga naturale, per trattenere l’acqua e favorire la diversità. Gli incendi intenzionali delle foreste sono un altro modo per ampliare lo spazio dei pascoli necessari all'allevamento ESTENSIVO o TRADIZIONALE.




Per quanto riguarda la sovranità alimentare, è quanto mai necessario valutare le risorse del territorio senza ricorrere allo sfruttamento degli animali. E' una mistificazione presentare l'allevamento ESTENSIVO come l’unica alternativa per mantenere economicamente vivo il settore agro-alimentare e come fondamento della sostenibilità e della biodiversità. Niente di più in contraddizione con la storia e niente di più classista. In primo luogo, è con la domesticazione di piante e animali che l’umanità avvia il massiccio impoverimento di tutta la vita biologica. L’allevamento ESTENSIVO è, infatti, la causa numero uno della deforestazione del pianeta. In secondo luogo, la scarsa “performance” degli allevamenti estensivi rende impossibile sostenere che possa mai fornire un’alimentazione di base per tutti. Se gli allevamenti INTENSIVI scomparissero, solo pochi privilegiati potrebbero accedere alla carne di animali allevati attraverso una produzione estensiva. Definire la carne come un ingrediente della sovranità alimentare significa, oltre alla doppia morale, confondere radicalmente le cose. Ciò che decidiamo di mangiare risponde a specifiche strutture sociali, politiche ed economiche esistenti in un determinato contesto storico. La piramide alimentare generalmente accettata non è soltanto funzionale, ma piuttosto comunica e riproduce uno specifico sistema gerarchico alimentare derivante dalle tensioni e dalle pressioni delle lobby e delle multinazionali “interessate” alla questione.

È possibile vivere bene nei paesi o in campagna, produrre e consumare prodotti stagionali e biologici, eliminando qualsiasi prodotto di origine animale. Ci sono alternative per lavorare i campi e ripopolare le aree rurali: qualsiasi altra attività rispetti l'ecosistema e che non coinvolga la sofferenza di altri animali con cui condividiamo questo pianeta e che abbiamo fatto diventare rifugiati nella loro stessa casa. Liberare e non abbandonare il territorio passa dal renderlo uno spazio sicuro per tutt*, umani o meno. Uno spazio libero per prendersi cura dell'Altro facendo lo sforzo di lasciare da parte i propri privilegi e rispettare gli altri mondi emozionali.Un altro di cui conosciamo solo in parte i desideri ma dei quali intuiamo le radici: una vita per se stessi e il desiderio di libertà. Riconosciamo facilmente la loro agency nelle storie di ribellione dove sono i protagonisti sfruttati, storie che vengono alla luce ogni tanto ma che costituiscono solo la punta dell'iceberg dei numerosi atti di ribellione, disobbedienza e esistenza animale.Come transfemministe multispecie lavoriamo per rendere visibile l’interrelazione tra le diverse forme di violenza strutturale. Questo discorso respinge l’arroganza del modello dominante ricevuto (capitalista, individualista, antropocentrico, androcentrico, etnocentrico, razzista, abilista e specista) e immagina nuove realtà che ci costringano a identificare i nostri pregiudizi e privilegi, a riconoscere l’alterità degli animali non umani in termini opposti alla subordinazione e alla dominazione. Un discorso profondamente liberatorio e relazionale non solo perché dice no alla dominazione che ci colpisce personalmente ma dice no a tutti i tipi di oppressione.

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