dal 4 all'8 settembre abbiamo partecipato al Venice climate camp e alle azioni che ci sono state. Una giornata è stata interamente dedicata all'ecotransfemminismo
qui trovate tutti gli interventi e i video relativi alla giornata
intervista a Bea e Marita prospettiva ecotransfemminista e alleanze nel mondo vivente
video e interventi della giornata crisi-climatica-ed-ecotransfemminismo
intervista a Moira Millan, mujeres indigenas por el el bien vivir lotte-indigene
Intervento TCTSU Venezia 5 Settembre 2019
Come movimento transfemminista conosciamo bene la violenza ambientale, il Piano di Non Una Di Meno ha riconosciuto il biocidio e la devastazione ambientale come una delle espressioni della violenza patriarcale contro i corpi delle donne, delle soggettività LGBPT*QIA, degli animali umani e non umani, della terra.
Non possiamo non vedere come in diverse parti del mondo si stiano affermando governi reazionari e autoritari che promuovono politiche di dominio sui corpi e sull’ambiente considerati risorse sfruttabili e a disposizione. In Italia stiamo vivendo una politica caratterizzata da un patriarcato fortemente violento, razzista, sessista, transomofobo e abilista, incubatore di quella saldatura tra la Lega, neofascisti e fondamentalisti cattolici che, nelle amministrazioni locali e al governo del Paese, cerca agibilità politica proprio sui nostri corpi, attraverso forme di oppressione, strumentalizzazione, imposizione di modelli e negazione di diritti e libertà.
Siamo convintu della necessità di assumere la prospettiva ecotransfemminista e antispecista nella lotta anticapitalista, antipatriarcale, per l'ambiente e contro le politiche che ci governano. Il nostro è un ecotransfemminismo politico, antispecista, postantropocentrico e antiessenzialista.
Sappiamo che alcuni dei concetti che utilizziamo appaiono complessi. Ma riteniamo che siano estremante utili per comprendere la realtà e i meccanismi di potere che guidano le interazioni attraverso cui si struttura il mondo. Siamo convintu che imparare a nominare i meccanismi di oppressione, e modificare il linguaggio con cui si descrive e si categorizza il reale sia un passo fondamentale per generare le trasformazioni per cui ci battiamo. I modi di conoscere il mondo sono infatti inseparabili dai modi con cui in esso si agisce. Per questo, nel descrivere il nostro posizionamento, cominceremo con lo spiegare alcuni dei termini che utilizziamo nella nostra lotta politica. Si tratta chiaramente di termini situati e in divenire, poiché l’ecotransfemminismo non è tanto un approccio teorico, quanto un percorso fatto di storie, di esperienze, di biografie, che si sono fatte lotta di autodeterminazione e liberazione.
Il sistema di pensiero eurocentrico si è strutturato nei secoli attorno a una visione dicotomica del mondo, suddiviso così in poli opposti, uomo-donna, natura-cultura, soggetto-oggetto, bianco-non-bianco, animale umano-animale non umano, abile-non abile, tra gli altri. Il polo della natura è quello a cui sono stati associati i corpi femminilizzati, animalizzati, razzializzati, il vegetale, la terra, costruendoli come corpi privi di storia e di cultura, di capacità d'azione, appannaggio del solo uomo. Si tratta di un sistema di pensiero antropocentrico (da antropos, umano) e androcentrico (da aner, uomo), che ha posto cioè l’Uomo con la u maiuscola, maschio, eterosessuale, bianco, abile, proprietario, come norma di riferimento, forgiando come subordinati, inferiori, oggettificabili, mercificabili e liberamente sfruttabili tutti i corpi che non rispondano a tale norma. Questi meccanismi di oppressione hanno naturalizzato ed essenzializzato la divisione del mondo in due parti. Hanno cioè invisibilizzato i processi di costruzione culturale, sociale, relazionale, materiale, che ha forgiato tale divisione, e le categorie concettuali conseguenti, rappresentandole come naturali, e innate, quando esse sono invece tutte storiche e politiche, e non universali. Sulla base di esse capitalismo e patriarcato hanno legittimato lo sfruttamento da parte del polo maschile e culturale su quello femminile-naturale, designato come evidentemente inferiore. Per questo, le conseguenze della devastazione ambientale e della crisi climatica non agiscono su tutti i corpi allo stesso modo, né sono generate dall'umanità tutta con la stessa intensità.
Come ecotransfemminist* riconosciamo quindi la non naturalità di questa divisione del mondo in due poli, fintamente poggiata sul dato biologico, che appiattisce le differenze tra i corpi, che sono infinite, per poter così più facilmente gerarchizzare, sfruttare, silenziare. Non c'è connessione causale alcuna tra materialità biologica e differenze, che sono tutte relazionali e in continuo divenire. Per questo diciamo che il nostro ecotransfemminismo è antibiologicista e antiessenzialista. Riconosciamo la materialità biologica dei corpi, umani e non, ma è solo nell’interazione sociale che essa diviene significante. Rivendichiamo quindi l’alleanza tra i corpi femminili e femminilizzati, razzializzati, le soggettività LGBPT*QIA+, il non umano, gli animali e la terra come unica lotta possibile per raggiungere gli orizzonti di liberazione che ci prefiguriamo. La nostra è però un’alleanza di tipo politico. Non pensiamo infatti che vi sia alcuna relazione innata tra donna e natura, definizioni che come abbiamo espresso non esistono di per sé come realtà autoevidenti e innate, ma sono funzionali al sistema capitalista e patriarcale per poter legittimare il suo funzionamento. Quello che ricerchiamo è un’alleanza tra soggetti, umani e non, che si riconoscano in quanto sfruttatu, e nel riconoscersi agiscano insieme orizzonti di lotta.
Proprio perché le diverse forme di oppressione e sfruttamento hanno una matrice comune, il nostro approccio è intersezionale. Attraverso lo sguardo dell'intersezionalità, l'oppressione si mostra come trasversale e allo stesso tempo si frattura in una serie di assi che agiscono in modo particolare su ogni soggettività: il potere non assoggetta allo stesso modo ognunu di noi.
La discriminazione di specie non è solo un pregiudizio morale, piuttosto è l'effetto e l'istituzionalizzazione di meccanismi simbolici e materiali per cui gli altri animali risultano al di là di ogni considerazione morale e politica. L'ecotransfemminismo è antispecista perché oggi antropocentrismo e androcentrismo si fondono insieme come dispositivo di oppressione, predicando la pretestuosa sacralità della vita umana a scapito di quella di tutti gli altri animali, umani disumanizzati compresi, come le donne, i corpi froci, trans e intersex. Questa "vita umana" appartiene infatti a quell'Uomo on la U maiuscola.
La norma antropocentrica separa ciò che è sacro da ciò che è sacrificabile, chi è degno di vivere da chi non lo è, e quindi può essere macellato, discriminato, colonizzato, lasciato annegare nel Mediterraneo. Siamo antispeciste perchè nessun_ sarà liber_ finché non riusciremo a scardinare i meccanismi di dominio che continuano a scavare quella linea profonda sulla quale l’Uomo si è costruito come padrone della terra e in antitesi all’animale così da poter animalizzare, discriminare, sfruttare, uccidere.
Il concetto di Natura è un concetto politico: è la narrazione dei potenti che serve come sfondo da dispiegare all'occorrenza per delegarne ogni responsabilità ai singolu o come spauracchio di un falso modello da perseguire, in relazione al quale si può definire ciò che è 'contro natura'. Le caratteristiche biologiche sono neutre di per sé ma viene loro assegnato valore politico e sociale per poterne disporre. Per questo motivo riconosciamo nella norma di genere e nella norma di specie una radice comune, il potere finalizzato all'appiattimento del vivente in categorie funzionali alla ripruzione e all'ordine del sistema stesso. La creazione di Homo sapiens è alla base del nostro immaginario normativo.
È una denominazione sessuata, sessista e arrogante. Reali sono invece il biocidio e la devastazione ambientale come una delle espressioni della violenza contro i corpi delle donne, delle soggettività LGBPT*QIA+, degli animali umani e non umani, delle popolazioni native e della Terra. Tale violenza sistemica si fonda sulle logiche di proprietà e sfruttamento del capitalismo estrattivista, pastorale e patriarcale in cui i corpi oppressi di animali umani e non e la Terra sono al contempo ridotti a risorsa e reificati, femminilizzati e naturalizzati. Siamo quindi postantropocentricu, perché critichiamo l'esistenza stessa di un soggetto umano come categoria essenzialista, come entità chiusa e sempre uguale a sé stessa e come centro dell'azione nella creazione del mondo. I corpi sono fluidi ed esistono solo in relazione.
Come TCTSU abbiamo preso parte al processo di discussione che ha portato Roma ad accogliere ed ospitare il corteo nazionale del 23 Marzo per il clima e contro le grandi opere inutili.
Nei grandi nodi metropolitani è più difficile analizzare le conseguenze, e combattere le cause, delle politiche estrattiviste e capitaliste, come strumenti del patriarcato. All’interno del sistema capitalista la città è stata elaborata come luogo purificato dalla “natura”, come trionfo dell’Uomo. Appare oggi invece chiaramente quanto lo spazio urbano dovrebbe essere uno spazio immaginato e agito come più che umano. Ciò emerge esplicitamente a causa del consumo di suolo incontrollato e della sparizione di ampie aree rurali attorno alla città, combinandosi con altre problematiche ambientali, tra cui erosione del verde, insufficienti sistemi di raccolta di rifiuti etc. tali processi esplicitano tutta la violenza di un sistema di produzione e consumo che ergendo una barriera tra naturale e politico ha legittimato lo sfruttamento e l’invisibilizzazione di tutti quei corpi costruiti come inferiori e quindi liberamente utilizzabili.
Al momento le politiche portate avanti dalle istituzioni pubbliche sembrano andare nella direzione opposta a quella che desideriamo. Termini come riqualificazione/rigenerazione urbana nascondono sistematici sgomberi di insediamenti informali, che trasformano quindi la rigenerazione urbana in una sostanziale criminalizzazione della povertà, fatta nel nome del decoro. Noi proponiamo invece che, attraverso la pratica quotidiana e la connessione con le realtà che vivono i territori, vada radicalmente ripensata la costruzione dei paesaggi metropolitani, delle periferie e degli spazi non ancora antropomorfizzati, incentrata su una nuova alleanza e una nuova convivenza tra animali umani e non umani e viventi tutti. Abbiamo organizzato due giornate di seminarie romane e una milanese e costruito insieme pratiche di avvicinamento allo sciopero dell’8 marzo scorso, declinandolo non solo in un’ottica di sciopero dei e dai generi, ma anche dei e dai consumi.
Durante la prima seminaria, dal 9 all'11 novembre presso SCUP, abbiamo lanciato la campagna riGENERIamociLIBERAmente nata dal desiderio di uscire da una logica di dominio, divulgando informazioni e materiali sulla liberazione dalla violenza su corpi umani e non, sulla terra, sui territori, creando condivisioni sugli approcci e le pratiche transfemministe intersezionali, sull’antispecismo come possibile orizzonte di lotta per la liberazione animale e umana.
Abbiamo partecipato al corteo nazionale contro il decreto Pillon attraversando la protesta in modo performativo, perché quel disegno di legge ci colpisce e colpisce quelle forme di genitorialità che in questi anni sono andate oltre la famiglia patriarcale assertiva di ruoli di subalterni e violenti.
Gli obiettivi della campagna sono:
la liberazione dalla patologizzazione e psichiatrizzazione di tutte le soggettività trans (con la necessaria modifica della legge 164/1982); laliberazione dalle mutilazioni genitali ( chirurgia e medicalizzazione non necessaria ) sui corpi delle persone intersex per normare in senso binario i loro corpi; la liberazione dalle terapie di conversione, anche dette riparative o di riorientamento sessuale che tendono a eterosessualizzare persone omosessuali con assunzione di farmaci, riti religiosi ed esorcismi.
Il 23 febbraio 2019 abbiamo organizzato presso la sede USB di Milano, in collaborazione con Oltre la specie e in preparazione dell’8 marzo una giornata di dibattiti su femminismo/transfemminismo/pensiero queer e antispecismo/questione ambientale. Abbiamo invitato 5 persone a introdurre i temi in modo orizzontale e la giornata si è svolta in ottima convivialità, dal pomeriggio fino a tarda serata.
Durante la seconda seminaria romana, "Giornate eco transfemministe verso LOttoMarzo", il 16 e il 17 febbraio, presso 100celle Aperte abbiamo lavorato dal punto di vista ecotransfemminista e in cammino verso l’8 marzo, giornata dello sciopero globale durante il quale abbiamo praticato forme di sciopero dei genere e dai generi, dal lavoro produttivo e riproduttivo, ma anche dai consumi e dalle grandi opere in nome di un'ecologia femminista per costruire pratiche alternative a questo sistema.
Il primo marzo abbiamo organizzato Mettiamoci la pancia: cena e condivisione di buone pratiche, ospitatu nello spazio Cip alessandrino, abbiamo lavorato in vista dello sciopero nella prospettiva di un altro modo di vivere sulla terra alternativo, allo sfruttamento. Abbiamo immaginato modelli di vita, socialità e socializzazione e ragionato sulle buone pratiche e consumo critico. Abbiamo lanciato la settimana di consumo critico ed ecosostenibile (1- 8 marzo) e il vademecum delle buone pratiche.
Durante il corteo dell'8 marzo abbiamo lanciato bombe di semi, e abbiamo raccolto materiale proveniente dallo sfruttamento animale per riassembrarlo con l'aiuto di un artista in un'opera che sarà esposta a Roma, durante il Festival Fra, previsto dal20 al 22 settembre.
Abbiamo portato avanti la campagna "ecomestruazioni" per l'eliminazione di assorbenti, coppette mestruali, assorbenti lavabili dall'elenco dei beni di lusso tassati al 22%.
Abbiamo assunto la campagna contro pinkwashing di Israele e le pratiche del BDS (boicottaggio, il disinvestimento e le Sanzioni).
Riteniamo fondamentale fare RETE CON I POPOLI ORIGINARI, le attiviste Mapuche e Guaranì in America del Sud, le comunità curde, quella di Hambach, con le donne e tutte le comunità native in prima fila nella resistenza contro lo sfruttamento neoliberale delle risorse e nella sperimentazione di nuove forme di autodeterminazione e autogestione dei territori, di condivisione del lavoro di cura e di riproduzione, di un modello di vita alternativo al modello capitalista fondato sulle false gerarchie di genere, razza e specie.
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